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Valle dell’Acate

2023-03-31

Rubrica di Alvice

Diogene di Sinope, nel totale disprezzo di ogni forma di lusso, ostentazione, attaccamento ai beni fisici, elesse una botte come stabile dimora della sua parca esistenza, andando in giro, durante il giorno, con una lanterna alla ricerca “dell’uomo”. Il cofondatore della scuola cinica predicò, con enfasi, l’autocontrollo e l’autosufficienza. Distrusse l’unico possedimento terreno, una ciotola di legno, vedendo bere un ragazzo dall’incavo delle mani, esclamando “Un fanciullo mi ha battuto nel vivere in semplicità”.
Al di fuori dell’aneddotica e delle stravaganze dei filosofi, della botte si hanno notizie sin dalla notte dei tempi e la sua funzione diffusa riguardava la conservazione del vino. E’ possibile trovarne testimonianza presso gli Armeni che preservavano il vino in anfore di coccio. Nella regione della Caucasia, in Georgia, tale consuetudine venne tenuta nei secoli tramite l’utilizzo dei c.d. qvevri, della capienza di 2.000-3.000 litri, interrati nelle cantine.
Nel corso degli anni la terracotta subì una fase di abbandono per passare gradualmente all’impiego del legno. Nell’uso del fusto di legno circondato da cerchi di ferro, le popolazioni celtiche dei Galli detenevano la leadership. Costoro abitavano in zone ricche di alberi e ben presto divennero abili artigiani e maestri d’ascia. Furono in grado di creare barili leggeri e resistenti, particolarmente adatti agli spostamenti.
La botte rappresentò, senza dubbio, una rivoluzione in campo enoico, affermandosi come la pratica di mantenimento del “divino nettare” più economica ed efficiente. L’incedere spedito del progresso portò alla fabbricazione di botti di dimensioni cospicue realizzate con materiale pregiato che, solitamente, è il rovere francese, derivato dalla quercia. I Tedeschi dimostrarono una piena attitudine nel costruire questo genere di recipienti tanto che, nella città tedesca di Heidelberg, una botte datata 1751, ospita, sulla sommità, una pista da ballo. Spetta però all’Italia, per la precisione alle Langhe, il record della botte più grande a livello planetario le cui ragguardevoli misure le permettono di entrare, de jure, nel Guinness dei primati.

Nell’azienda Valle dell’Acate, in contrada Bidini, a pochi chilometri da Acate, nella provincia di Ragusa, una botte di cinquemila litri, accogliente ventre materno, sovrasta le altre e scandisce il trascorrere delle stagioni intriso di tradizioni, legami familiari, trasformazioni e rinascite. L’attività enologica intrapresa da Giuseppe Jacono sul finire del XIX secolo, viene attualmente condotta, dopo sei generazioni, dalla discendente Gaetana Jacono, attenta al rispetto e salvaguardia della biodiversità di questo angolo del sudest siciliano.
Gaetana Jacono si laurea in Farmacia ma, immediatamente dopo il conseguimento del titolo di studio, rinuncia alla professione per abbracciare la viticoltura e la terra, l’altopiano ibleo quale sfondo e alfabeto sentimentale delle sue scelte. L’apprezzamento dei suoi prodotti, dentro e fuori i confini nazionali, premia la passione, la dedizione e la tenacia che la contraddistinguono. Nel 2013 ottiene il riconoscimento di Brand Ambassador del Cerasuolo di Vittoria DOCG e del territorio ragusano, in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, con l’obbiettivo di migliorare il diritto al cibo. Anche il suo impegno nel sociale è notevole grazie alla partecipazione attiva al programma Music Fund. Nato a Bruxelles nel 2005, Music Fund raccoglie strumenti musicali e promuove la formazione di esperti nella riparazione degli stessi nei paesi in via di sviluppo o colpiti da guerre.
I processi lavorativi a Valle dell’Acate sono interamente sostenibili, si pongono in un rapporto di dialogo continuo e ininterrotto con l’area circostante, acquisendo significato nella ferma decisione di valorizzazione e tutela del patrimonio. La ristrutturazione del vecchio palmento segue la stessa logica. Qui sono custoditi, al pari di reliquie preziose, attrezzi, utensili e reperti etnografici che recuperano la loro condizione vitale, scrollandosi di dosso il polveroso peso del passato, sollecitati dalla narrazione del “fuoriclasse” Giovanni Carbone, sommelier e responsabile delle degustazioni, lungo un viaggio che fruga nelle anse più nascoste delle vicende di Valle dell’Acate, dei riti e del sapere contadino che gravitava intorno al settore vinicolo. Giovanni, con la sua singolare capacità rievocativa e competenza nel descrivere le etichette della cantina, consente di immergersi in un’esperienza sensoriale a tutto tondo, proponendo diverse soluzioni di interessanti tour enogastronomici.
Nella produzione del Cerasuolo di Vittoria DOCG Classico e del Frappato DOC Vittoria si concentra il core business della Tenuta, oltre ad un bianco Zagra, grillo in purezza, dal Moro, Nero d’Avola 100%, dal Tanè, da uve Nero d’Avola, in omaggio a Gaetana, da Iri da Iri, un cru Cerasuolo di Vittoria e dal Bidis, con uve Chardonnay, attualmente non in commercio. Ispirata ai bizzarri mascheroni che sorreggono i balconi della Sicilia ridondante di architetture barocche, la linea “Bellifolli” aggiunge una ventata di novità alla già nutrita proposta. Comprende cinque vini, un rosé, due bianchi e due rossi.

A Valle dell’Acate il numero sette assume la stessa veemenza ritmica di un mantra luminoso e designa il progetto “7 terre per 7 vini”. L’idea è guidata dalla ricerca scrupolosa e attenta del terreno più adatto per l’allevamento delle varietà colturali, concedendo alle viti la migliore espressione di sé. “Tutto è numero e i numeri sono tutto”, sosteneva Pitagora. Il numero, dal greco arithmós, è manifestazione dell’ordine armonico che domina nella natura, la stessa struttura dell’universo è fatta da numeri. I Pitagorici attribuivano enorme importanza ai numeri, conferendo a ciascuno di essi un’elevata valenza simbolica. Nella cultura greca il tempo seguiva due vie, Chronos e Kairós. Mentre Chronos indica la quantità, Kairós possiede un carattere qualitativo. Il sette corrisponde a Kairós, il periodo del cambiamento, delle opportunità, della svolta, dei nuovi inizi.

A volte i luoghi tacciono, svaniscono, scivolano via, a volte sussurrano emozioni, annunciano epifanie, divengono patria dell’anima. Valle dell’Acate è uno di questi, Valle dell’Acate resta, scava solchi profondi, si fa memoria appagante. Valle dell’Acate è un microcosmo di signorile e composta eleganza dove gli ingranaggi della macchina del tempo si sono arrestati. Le maglie della storia, impigliate tra le zolle dei vigneti e le radici degli ulivi secolari, suggeriscono immagini sbiadite fluttuanti di sguardi immobili e riarsi dal sole e dalla fatica. Immagini che rivivono nelle pagine di Gesualdo Bufalino dedicate all’amata Sicilia “Per l’alto cielo odoroso di arance e di camicie nude al davanzale” avanza la notte, fremente di vita e di canti, di “fantasie di simulacri e miraggi”, di attese e di speranze, di delicata e bucolica bellezza che riposa nelle cose semplici, nei gesti spontanei, nell’allegria dei cuori puri.

Alvice Cartelli
Alvice Cartelli

Donna dai molteplici interessi, si divide tra l’insegnamento e la lettura, la scrittura, la poesia, la pittura. Ama tantissimo la natura e non perde occasione per fare lunghe passeggiate immersa nel silenzio di un bosco o nel fascino di una spiaggia solitaria. Dal 2018 è autrice del blog “Guardo a Sud” dove, oltre alla bellezza della sua Sicilia, descrive luoghi, persone e situazioni accomunati dal rispetto per il Pianeta e la cura dell’ambiente. E’ un’appassionata wine lover e le visite in cantina rappresentano per lei veri viaggi di scoperta da cui trae spunto per costruire storie e originali racconti.

Continuate a leggere i racconti di Alvice sul suo blog

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2023-03-31

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